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martedì 3 aprile 2012

Cuoco: la professione del futuro


Un prestigioso studio americano prevede che fino al 2018 il maggior numero di neoassunti lavorerà nel settore della ristorazione e la figura più ricercata sarà quella del cuoco: ritratto di una professione dal sapere antico e in continua trasformazione
La professione del futuro? secondo uno studio americano, un’importante indagine del U. S. Bureau of Labor Statistics, la principale agenzia del governo federale americano nel campo del lavoro e dell’economia, pubblicata sotto il titolo “Help Wanted: Projections of Jobs and Education Requirements through 2018″, le professioni del futuro sono quelle legate alla cura della persona e, prima fra tutti, la figura più richiesta sarà quella del cuoco. I risultati dell’indagine si riferiscono ad una proiezione che esamina il periodo fino al 2018, ipotizzando la risoluzione della lunga crisi economica tuttora in atto e l’emergere di nuove necessità legate ad una popolazione sempre più anziana e sempre più bisognosa di servizi dedicati alla sfera del benessere individuale. Badanti e infermieri, così come cuochi, camerieri e baristi, vedranno moltiplicarsi le richieste di lavoro loro indirizzate, secondo un trend di crescita costante. Lo studio riguarda gli USA, ma il modello proposto è sicuramente esportabile anche in Italia, in Giappone e in tutti i paesi occidentali, società caratterizzate dal progressivo e inesorabile invecchiamento della popolazione, in atto da decenni.
Tra le professionalità citate dalla prestigiosa pubblicazione americana, una posizione del tutto sorprendente merita appunto quella del cuoco, dello chef specializzato e qualificato: camerieri e cuochi compaiono al vertice della Top Ten delle mansioni più richieste nell’immediato futuro. Lavorare in cucina e raggiungere progressivamente un livello di sempre maggiore raffinatezza e creatività, rappresenta comunque una passione condivisa da giovani e meno giovani: trasmissioni televisive di successo, libri che si mantengono costantemente in cima alle classifiche di vendita, siti internet e forum i cui utenti condividono ricette, confermano appunto che il mondo della cucina appassiona persone di tutte le età e può diventare, per alcuni, una professione affascinante e remunerativa.

come si diventa cuochi professionisti?
Restringendo lo sguardo all’Italia, il canale che da decenni forma questa figura professionale è la Scuola Secondaria di Secondo Grado specifica del settore, l’Istituto Alberghiero Statale. Grandissimi chef italiani come Gualtiero Marchesi e Gianfranco Vissani hanno alle spalle proprio questa formazione scolastica specifica che, ormai da decenni, forma gli aspiranti cuochi ed esperti nella ristorazione attraverso un percorso formativo di 5 anni: un biennio di formazione, un monennio per l’ottenimento della qualifica (diploma del III anno) e un biennio post qualifica nel quale si sperimentano le possibilità offerte da stage e alternanza scuola lavoro. Secondo i dati recentemente offerti dal Sole 24ore, sono ben 70mila gli studenti italiani di questi Istituti, ragazzi che ben presto andranno alla ricerca di opportunità di impiego nel settore verso il quale sono state orientate le loro scelte. Riferendosi al periodo giugno – settembre di ogni anno, si nota, pressoché costante, un incremento del 13% delle richieste di lavoro nel settore del turismo e della ristorazione: è evidente, quindi, che le energie spese nella propria formazione potrebbero essere ampiamente ripagate se, alla preparazione di base, gli aspiranti chef sapranno affiancare serietà, creatività e disponibilità all’apprendimento. Lo sviluppo delle capacità personali di ogni giovane viene del resto già incoraggiato durante il percorso formativo degli studenti: gli Istituti Alberghieri organizzano stage presso aziende che operano nel settore della ristorazione e dell’accoglienza, e spingono i giovani ad intraprendere, alla fine dell’anno della qualifica, le esperienze di alternanza scuola/lavoro.
Seguire, però, l’iter canonico della formazione scolastica non è l’unica strada percorribile da parte di chi desidera cimentarsi con i fornelli e fare della propria passione un lavoro: in Italia proliferano scuole private di cucina ad ogni livello e per tutte le tasche, e non mancano chef autodidatti che hanno supplito con la passione alla mancanza di una formazione classica.
passione o professione?
Curiosando nel web, ci sia imbatte nel sito della scuola di cucina “Maisazi”, che eroga corsi sia per semplici appassionati che per aspiranti cuochi professionisti del settore della ristorazione. Come distinguere tra la semplice passione per i fornelli e la reale aspirazione a svolgere una vera attività lavorativa come chef? Anche in questo caso il sito offre consigli piuttosto interessanti: il successo di una semplice cena fra pochi amici non è indicativo di ciò che un vero cuoco fa ogni giorno nella cucina di un ristorante.
L’esperienza che i maestri chef propongono agli utenti del web è l’organizzazione di cene, ad esempio a tema, con un numero di invitati sempre maggiore: cucinare prima per 8, poi per 10 e infine per 20 persone può essere una palestra sufficientemente indicativa del lavoro quotidiano di uno chef professionista. Agli amici, come a dei veri avventori di un ristorante, non va richiesto solo un commento sul gusto e la riuscita delle pietanze: anche la tavola e la presentazione del piatto dovranno avere una cura specifica, e lo chef in erba dovrà, con pazienza e umiltà, fare sempre tesoro delle critiche rivolte. Proprio queste ultime indirizzeranno la riuscita delle sue future proposte e stimoleranno quella creatività che, in cucina, è il condimento indispensabile di ogni pietanza.

FEDERAZIONE ITALIANA CUOCHI
Le Federazione italiana Cuochi conta oggi circa 20mila iscritti, divisi in 126 associazioni in 20 regioni e ben 18 delegazioni all’estero. Per conoscere più da vicino il variegato mondo della cucina italiana abbiamo intervistato il presidente della Federazione, Paolo Caldana.

Quali vantaggi offre ad un singolo cuoco l’affiliazione alla Federazione Italiana Cuochi?
Un cuoco affiliato entra in un contesto che offre mille opportunità, prima fra tutte la conoscenza di molti altri professionisti. Inoltre si apre ad un mercato molto ampio, che può dare visibilità, cui potrà anche contribuire con il proprio bagaglio di idee favorendo la propria crescita professionale, e solidarietà, dato che la Federazione porta in risalto tutte le problematiche della categoria, preoccupandosi nello stesso modo dello chef stellato come del piccolo grande cuoco di osteria. Un’altra nostra priorità è la cura del dialogo e l’attenzione verso i giovani, allo scopo, sempre, di valorizzare ogni apporto alla promozione e tutela della cucina italiana, alla nostra tradizione e ai prodotti tipici.

Voi siete associati alla World Association of Cooks Society: perché è importante per uno chef italiano confrontarsi con il contesto internazionale?
La conoscenza di altre culture e modi differenti di lavorare permettono a tutti noi di confrontarsi e crescere: noi siamo membro ufficiale della VACSE, organismo mondiale della cucina che racchiude 86 paesi dei 5 Continenti, ed opera per la conoscenza e la tutela di tutte le tradizioni culinarie. Si dice che la cucina italiana sia la migliore del mondo: credo che ci siano anche molte altre cucine da apprezzare, basta solo conoscerle, andandole a cercare, ad incontrare. Di questo sono fermamente convinto: non bisogna chiudersi nel proprio “cucinotto”. Oggi, poi, tutto questo viene realizzato con estrema velocità: con l’internet e la tecnologia siamo, in tempo reale, informati su tutto e tutti.

Proprio in merito a quest’ultimo aspetto ci si chiede: quanto la tecnologia, quindi l’universo virtuale del web, riesce davvero ad influenzare un mondo così legato al materiale, al pratico come l’arte del cucinare?
Alla base di tutto ci deve essere la conoscenza profonda, professionale del prodotto: un cuoco deve conoscere la provenienza e la composizione della materia prima, il processo di trasformazione che avviene durante la cottura, anche attraverso le nuovissime piastre o forni. Queste conoscenze possono provenire da tante fonti, è un aspetto teorico su cui possiamo informarci anche online. Il risultato finale, però, il gusto, può darlo solo il cuoco con la conoscenza diretta dei procedimenti giusti, delle temperature ideali: per essere cuochi non basta aver visto su internet come fare una bistecca o saltare la pasta. Solo l’apprendimento attraverso una vera guida permette risultati professionali. In ogni caso, oggi non si può lavorare senza la tecnologia, è un apporto fondamentale.

Riallacciandoci a questo discorso, oggi basta una web cam e una connessione, e chiunque può tenere un blog o un canale youtube mostrando come preparare, a casa propria, delle ricette. Questo è segno dell’interesse dei giovani o è una sottovalutazione della professionalità dei cuochi?
Chi si professa cuoco solo perché ha imparato una ricetta da internet può illudere solo altri dilettanti: tutti questi strumenti di condivisione possono sicuramente aiutare una persona che abbia già una preparazione di base sufficiente. Oggi si parla troppo e a volte a sproposito della cucina, che invece esige cultura, applicazione e osservazione diretta di un maestro, a contatto, “carne contro carne”.

Secondo le ultime analisi gli iscritti alle scuole alberghiere sono 70 mila: questo numero è adeguato alla richiesta del settore? Sono troppi o ne servirebbero di più?
Io vengo dal mondo della scuola, oggi sono in pensione e posso fare un confronto con la scuola alberghiera di qualche decennio fa: allora i ragazzi erano in grado di entrare immediatamente nel mondo del lavoro. Oggi è molto diverso: da anni la scuola alberghiera è diventata un terreno di passaggio, propone poca cultura e pochi aspetti pratici. Conclusi gli studi è difficile possedere già gli strumenti, la professionalità, richiesti dal mondo del lavoro: su 100 diplomati forse solo 5 o 10 riusciranno lavorare subito. Il mercato esige professionalità e volontà, doti di cui sono forniti in pochissimi fra quelli che escono dalla scuola. Inoltre, alla base di tutto, c’è un problema che riguarda la formazione degli stessi formatori: molti si spacciano per insegnanti, ma c’è una parte di costoro che non è realmente preparata, idonea a trasmettere questi saperi. Pensando, poi, alle richieste del mercato, va detto che oggi è oggettivamente diminuito il numero di lavoratori: dove prima c’erano 10 cuochi oggi ne bastano 3. Questo, però, non deve scoraggiare: ci sarà sempre una possibilità, anche se le prospettive sono cambiate, per chi ha passione e attitudine reale per questa bella professione.

Tornando ai numeri della Federazione, qual è la percentuale delle donne? La domanda viene dalla ovvia constatazione che, nell’immaginario collettivo, il grande chef è sempre un uomo: è ancora così?
Questa tendenza sta cambiando: basta guardare il nostro sito che presenta anche la sezione Lady Chef, non più composta da brave massaie di casa, ma da vere professioniste, chef raffinati e colti. Oggi la disparità fra uomini e donne si sta appianando, troviamo delle donne in posti dirigenziali, anche in ristoranti stellati. Resta però una sostanziale differenza: noi uomini, tornati a casa, ci riposiamo, le donne si rimettono ai fornelli, e questo le penalizza ancora. Nonostante ciò, continua a crescere il numero delle donne nelle cucine più prestigiose. Uno chef di sesso femminile ha di solito dei pregi indiscussi: le donne tendono a lavorare in modo più ordinato, con particolare attenzione alla pulizia, si accostano alla materia prima con delicatezza, curano maggiormente certi dettagli. Assistiamo, quindi, con soddisfazione a questo fenomeno di avvicinamento alla professione da parte delle donne, in particolar modo delle ragazze, ancor più delle donne di una certa età.

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