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In Italia la politica sembra convergere su una soluzione di correzione della riforma dell’articolo 18, ma dall’Europa arriva un nuovo avvertimento. In un documento circolato a margine dell’Eurogruppo dello scorso 30 marzo, la Commissione Ue ribadisce il suo giudizio positivo sulla riforma del mercato del lavoro Monti-Fornero, chiede una sua rapida approvazione al Parlamento e ammonisce: «Anche se è molto positivo che la bozza di riforma del governo si fonda su un dialogo costruttivo con le parti sociali - si legge - è decisivo che l’obiettivo e il livello di ambizione della riforma resti commisurato alle sfide del mercato del lavoro italiano, in linea con le raccomandazioni del Consiglio europeo». Insomma, il messaggio di Bruxelles è chiaro: «La spinta della riforma va mantenuta». E soprattutto, se è importante che il consenso sociale intorno alle nuove regole si possa allargare, in realtà è molto più importante che la riforma non venga annacquata.Il documento della Commissione (di cui La Stampa ha letto una copia) affronta certamente in modo dettagliato i temi del mercato del lavoro. Ricorda analiticamente le note debolezze del sistema italiano (la precarietà, il basso tasso di occupazione in particolare femminile, l’insufficiente rete di protezione sociale). E sottolinea che la riforma varata dal governo Monti «ha l’ambizione di affrontare in modo generale le rigidità e le asimmetrie della legislazione di protezione dell’impiego, puntando nel contempo a un sistema di tutele dalla disoccupazione più integrato».
Ma appare significativa anche la prima parte del testo, che fotografa la situazione dei conti pubblici italiani. Nell’analisi della Commissione, si conferma che le misure adottate (100 miliardi di euro, il 7% del Pil) consentiranno di centrare il pareggio nel 2013 e un solido avanzo primario. Tuttavia, si legge, «gli sforzi dell’Italia potrebbero essere minacciati da un profilo di bassa crescita economica e tassi di interesse relativamente alti». Dunque, il governo «deve essere pronto a prendere eventuali altre iniziative di bilancio» - per adesso «non necessarie» - e «utilizzare i risparmi sulla spesa per interessi ed eventuali proventi da privatizzazioni per ridurre il debito». Il messaggio è anche qui chiaro: inutile attendersi sgravi fiscali consistenti a breve, perché «l’atteggiamento di finanza pubblica non potrà essere reso meno rigido negli anni successivi al 2013».
Tornando al mercato del lavoro e all’articolo 18 - in attesa del testo definitivo del governo - sembra proprio che i partiti di maggioranza siano piuttosto vicini a trovare un’intesa in grado di mettere d’accordo Pd, Pdl e Terzo Polo (e almeno in parte, anche la Cgil). La proposta l’ha formulata Pier Luigi Bersani: prevede una correzione in direzione «tedesca» delle regole per i licenziamenti economici, reintroducendo un ruolo per il giudice e la possibilità di restituire il posto di lavoro a chi è licenziato illegittimamente. In cambio, dice Bersani, si possono accogliere certe richieste del Pdl e delle imprese sulla flessibilità in entrata, riducendo i carichi burocratici. Il segretario del Pdl Angelino Alfano «apre» - a certe condizioni - a Bersani: «Fare insieme la riforma del lavoro è meglio che farla separati. Il problema - dice - è cosa si fa se la Cgil dice no. La nostra preoccupazione è che l’agenda alla fine la faccia il sindacato e non il governo». E se Pierferdinando Casini vede con favore una possibile intesa parlamentare, la leader della Cgil Susanna Camusso puntualizza che «il reintegro basta per ottenere il sì della Cgil. Ma l’onere della prova non può essere a carico dei lavoratori. Il reintegro basta, mantenendo la stessa procedura. Questo lo sa anche Bersani».
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